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L'Aquila e la Spada
Il Comes Britanniarum Magno Clemente Massimo – protagonista di questo romanzo fu l’ultimo Governatore delle Britannie e uno degli “usurpatori” più temuti del tardo Impero. Ma mentre la storiografia romana ufficiale dell’epoca cercò di cancellarne le imprese, al contrario la tradizione orale dei Celti di Britannia lo elesse al ruolo di indimenticato eroe di più di una leggenda. Di lui, Macsen Wledig (la Guida), e della sua arma, la “Spada di Macsen” (che diverrà – secondo il mito – Excalibur), accompagnati dal suono cristallino delle arpe, i bardi avrebbero nostalgicamente cantato nei secoli a venire. Non a caso, egli è il solo non-nativo sul quale si incentri uno dei racconti contenuti nell’antico “Mabinogion”: l’unica traccia scritta della tradizione mitica britanno-celta. Ne “L’Aquila e la Spada”, leggeremo, perciò, di battaglie ed eroi - certo! - ma anche di druidi e fate dei boschi, di visioni e riti misterici, di sacrifici crudeli e stupefacenti metamorfosi… e dell’amore struggente fra il Comes romano Magno Massimo e la Principessa britanna Elain.
In questo romanzo, la Storia scritta e la Leggenda tramandata si intrecciano a creare un mondo epico e fatato in cui lo spiritualismo magico e sognatore dei Celti di Britannia si lega al realismo pragmatico e disincantato dei Romani. Scopriremo, così, come Roma – dopo quasi quattro secoli di dominazione - abbia lasciato in eredità alla Britannia qualcosa delle sue antichissime gloria e nobiltà. Qualcosa da cui – grazie a Magno Massimo - sarebbe nata, quasi un secolo dopo, la leggenda più grande e amata di tutte, quella del Rex quondam Rex futurusque, il Re in Eterno: Artù.
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Excalibur - La Spada di Macsen
Chi fu il Comes Britanniarum Magno Clemente Massimo, protagonista di questo romanzo e del precedente “L’Aquila e la Spada”? Egli fu l’ultimo Governatore romano delle Britannie e ‘usurpatore’ temutissimo nel tardo Impero. Ma, soprattutto, fu una figura essenziale per la nascita dell’epopea di Re Artù e della sua spada Excalibur… anche se pochi – fra noi discendenti dei Romani – lo sanno! I bardi di Britannia ne cantarono per secoli le gesta nella ballata “Breuddwyd Macsen Wledig” (Il sogno del Duca Massimo), contenuta poi nell’antica raccolta “Mabinogion”, unica traccia scritta delle leggende britanno-celte. La sua spada, la Spada di Macsen, è stata favoleggiata come l’arma che sarebbe stata tratta dalla roccia, e chiamata Excalibur. Goffredo di Monmouth, storiografo gallese del XII Secolo, nella sua fondamentale “Historia Regum Britanniae” – fonte primaria di tutta la ‘Materia di Bretagna’ e del ‘ciclo arturiano’ – fa addirittura affermare ad Artù che Magno Massimo era suo “parente stretto”. Ed è in questo romanzo, come in “L’Aquila e la Spada”, che questa figura viene, come mai prima, svelata e messa in luce. In un intreccio fra Storia scritta, Leggenda tramandata e Fantasia, fra visioni e incantesimi, battaglie e gesta eroiche, intrighi e tradimenti, Magno Massimo si confronterà con altri ‘giganti’ della sua epoca appartenenti alla Storia (l’Imperatore Teodosio il Grande, il Vescovo di Mediolanum Ambrogio, il retore Agostino, il monaco Martino…) e al Mito (il druido Taliesin, il principe britanno Cynan Meriadoc…) Insomma, per la prima volta, questo romanzo narra di un retaggio finora misconosciuto dei quattro secoli di dominazione romana in Britannia: quel retaggio da cui – grazie a Magno Massimo – sarebbe nata, quasi un secolo dopo, la memorabile leggenda di Re Artù e di Excalibur.
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